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Foto: Adrian Paci, Centro di permanenza temporanea, 2007

Il tema e l’analisi dello sviluppo e del rapporto tra cultura e innovazione è stato, negli ultimi anni, oggetto di sempre maggiore attenzione. C’è da chiedersi, però, quale sia esattamente il ruolo della cultura nei modelli di sviluppo territoriale.

Secondo il Prof. Domenico D’Orsogna, docente di Diritto Amministrativo all’Università di Sassari e Direttore scientifico del DECA Master (Diritto ed Economia per la Cultura e l’Arte), sono oggi disponibili contributi della scienza economica che offrono dati affidabili per una adeguata riflessione sull’argomento.

Gli italiani, secondo una visione stereotipata, sarebbero “il popolo più creativo del mondo”, depositario “del più grande patrimonio culturale al mondo”. Il patrimonio culturale, se ci si affida alla “metafora petrolifera” applicata ai beni culturali, sarebbe da considerarsi come “giacimento” da sfruttare e “mettere a reddito”. Così si spiega l’eccessiva fiducia riposta sul tema della valorizzazione soprattutto economica. E quindi, dal “con la cultura non si mangia”, si è passati a “la cultura fattura?”, si domanda il Prof. D’Orsogna.

Lo sviluppo su base culturale non è qualcosa da applicare in modo automatico a prescindere dal contesto in cui lo si vuole inserire.  

Sul piano giuridico italiano i nodi sono molteplici: l’intero sistema normativo in materia si fonda sull’art. 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Sottolinea il Professore, facendo riferimento anche all’articolo del Prof. Chessa pubblicato su Nuove Alleanze, che “a lungo ha prevalso una interpretazione riduttiva ed “estetizzante” di questa disposizione di principio, che ha finito poi per innervare l’intero sistema della legislazione e delle fonti sottordinate: una concezione ornamentale della cultura, intesa quale mero abbellimento”.

Quanto meno a livello teorico, anche in Italia è finalmente cambiato qualcosa: maggior rilievo si è dato al diritto dei beni culturali e al diritto della cultura, focalizzandosi anche sul principio di valorizzazione delle diversità culturali. Si ricordino, ad esempio, le convenzioni UNESCO, la Convenzione Internazionale dei Diritti del Fanciullo, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Carta iberoamericana dei diritti culturali, i Trattati europei.

Il Diritto della cultura – precisa il Prof. D’Orsogna – è costruito su tre pilastri teorici:

  • la dottrina tedesca del Kulturstaat, in cui l’autonomia della cultura si proclama come diritto di libertà, ma anche di prestazione;
  • la dottrina italiana dei beni culturali, la cui origine risale ai lavori della Commissione Franceschini (L. 26 aprile 1964, n. 310) sostenendo che “appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i Beni aventi riferimento alla storia della civiltà. Sono assoggettati alla legge i Beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà”;
  • la dottrina francese del service public culturel, basata sulla peculiarità della cultura come oggetto dell’azione delle Amministrazioni pubbliche.

E nell’ordinamento giuridico europeo il termine “cultura” richiama due questioni strettamente interconnesse: la creazione di un’identità costituzionale europea attraverso la cultura e la tutela e valorizzazione delle diversità culturali rispetto all’identità nazionale.

La “cultura” entra formalmente per la prima volta nei Trattati europei nel 1992 (art. 151_TCE, corrispondente all’attuale art. 167 TFUE): la promozione delle diversità culturali presenti nello spazio europeo diviene obiettivo dell’azione comunitaria. Analogamente, l’art. 22 della Carta dei Diritti Fondamentali dichiara solennemente che “l’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa, linguistica“. La “cultura” diventa norma comunitaria, insomma.

A questo punto, dunque, “i territori, visti nella loro interezza e complessità, si trasformano progressivamente in sistemi produttori di simboli culturali-identitari“. La cultura crea coesione sociale e mantiene viva la memoria storica dei popoli.

Per questo motivo, il supporto da parte del settore pubblico diviene essenziale sia nel sostegno e nell’incentivazione del settore facendo riferimenento soprattutto alla produzione per il consumo culturale (radio, tv, cinema, festival, etc), alla promozione per la promozione culturale (archivi, biblioteche, musei), alla produzione culturale per lo sviluppo (scuola, università, ricerca).

Ciononostante lo studio giuridico delle “politiche pubbliche” – continua il Professore – è stato in Italia a lungo trascurato, prendendo in considerazione la singola azione amministrativa. Solo di recente, come dicevamo all’inizio di questo articolo e come sostiene con forza il Prof. D’Orsogna, la prospettiva di analisi delle politiche pubbliche è stata assunta all’interno del diritto amministrativo, cercando di individuare i meccanismi idonei per la programmazione strategica, il controllo e la valutazione dei risultati, il coordinamento con altre politiche contigue.

Fondamentale, infine, è certamente considerare con maggiore attenzione le variabili giuridiche derivanti dall’inclusione di operatori privati nell’erogazione del “servizio pubblico” in campo culturale, sia sul piano degli accordi, dei partenariati, del fundraising, sia sul piano organizzativo (partecipazioni societarie degli enti locali, fondazioni, etc.).

Il Prof. D’Orsogna conclude la sua riflessione segnalando alcune novità normative di assoluto rilievo: il Decreto Legge n. 83/2014, convertito nella Legge n. 106/2014, che “ha introdotto un credito di imposta per incentivare le erogazioni liberali a sostegno della cultura (c.d. Art-Bonus); il regolamento di riorganizzazione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT), che è intervenuto sui punti critici della precedente disciplina tentando di raggiungere una maggiore integrazione tra cultura e turismo; la semplificazione dell’amministrazione periferica e l’ammodernamento della struttura centrale; la valorizzazione dei musei italiani e delle arti contemporanee; il rilancio delle politiche di innovazione e formazione del personale del Ministero“.

Per leggere l’articolo integrale del Prof. D’Orsogna potetete cliccare qui.