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Rosamund Purcell, The two rooms, 2003

 

“Il collezionismo contemporaneo e quello moderno hanno in comune l’approccio del collezionista all’arte, l’urgenza dell’acquisto, la selezione degli spazi in cui collocare le opere, la cessione di grandi patrimoni in cambio di un pezzo unico e inimitabile, la visibilità della raccolta, la sua catalogazione e la sua memoria”.

Tuttavia, sostiene Raffaella Morselli, ordinario di Storia dell’Arte Moderna nell’Università di Teramo, il collezionista contemporaneo e i suoi antenati appassionati d’arte, si trovano di fronte allo stesso dilemma nel momento in cui la loro vita terrena finisce. In epoca moderna veniva spesso impiegato lo strumento del fidecommisso secondo cui la collezione era vincolata al primogenito. Oggi, invece, si preferisce l’istituzione delle Fondazioni.

Da un’indagine comparativa tra le collezioni d’Ancient Regime e le collezioni attuali, le modalità di acquisizione e di catalogazione sono molto simili. Prendendo come esempio il patrimonio artistico di casa Gonzaga, l’inventario racconta di un “mondo scomparso e lo rende visibile attraverso le parole, narra di armerie e studioli, di guardaroba ducali e di biblioteche”. Gli elenchi Gonzaga dimostrano che il tempo è una variante di fondamentale importanza. Più il tempo passa, più il documento varia. Il rischio è che siano quindi omessi interi sistemi di oggetti, dalla carta ma non dalla vista. Uno di questi è l’enorme patrimonio naturalistico e di oggettistica esotica che emerge dalle fonti manoscritte , ma sembrerebbe essere in parte stato occultato negli inventari legali.

L’esordio di tale collezionismo è da ricercarsi fin dagli arbori della dinastia. Fu comunque con Federico II (1500-1540) che l’acquisto di opere si fece più serrato e sensazionale: a lui si deve, in particolare, l’acquisto dell’organo d’alabastro che arrivò a Mantova. Guglielmo Gonzaga poi, nella metà del ‘500 circa, si appassionò agli oggetti esotici: coralli rossi, bianchi, neri, un legno pietrificato, vasi di cammei.

Il figlio Vincenzo vaga per l’Europa acquistando pezzi eccezionali, frequentando le raccolte di altri principi e scienziati. L’interesse principale, più che l’osservazione naturalistica del cosmo, è diretto verso tutto ciò che può stupire: pappagalli, perle immense, ingredienti dalle Indie, interi carichi di navi che provengono da oltreoceano. Ammassa tutto nel suo palazzo, non classifica, non costruisce luoghi appositi all’esposizione, ma cerca piuttosto di incentivare gli esperimenti scientifici. Fu solo con Ferdinando Gonzaga che gli oggetti collezionati cominciarono ad assumere una forma museologica a Palazzo Ducale (Mantova).

Il passaggio dai primi tentativi di creazione di un museo (naturalistico), iniziati da Isabella d’Este, al complesso museo di Ferdinando, attraversa 150 anni di acquisti in tutto il mondo conosciuto. “Nell’ambito del sistema complesso di relazioni di una corte seicentesca, i carteggi tra la corte e il resto del mondo conosciuto portano alla luce tipologie differenti di agenti e di intermediari che agivano sui vari mercati in cerca di reperti del mondo scientifico da proporre per l’acquisto a corte”, continua Raffaella Morselli.

La maggior parte dello scambio di informazioni, e quindi degli acquisti, avveniva da parte dei residenti gonzagheschi che avevano un ruolo nella cancelleria, la possibilità di spesa e che abitavano in luoghi diversi in Italia. Ciò che viene acquistato si deposita nelle collezioni ducali. Gli inventari che vanno dal 1540 al 1709 registrano solo in parte questa situazione. Le tipologie di oggetti che si ritrovano schedati vanno dalla categoria più esotica, definiti “alla turchesa”, sono inizialmente per lo più materiali da guerra, per poi dilatarsi considerevolmente nel 1626: non solo armi, ma anche boccali, scodelle, profumi, tappeti. Tuttavia, è importante sottolineare che il termine “alla turchesa” non indica sempre la provenienza; a volte vengono inclusi in questa categoria anche oggetti semplicemente decorati secondo lo stile alla turca.

Di rilevante importanza è la creazione della categoria “all’indiana”: Indie occidentali o orientali? Analizzando gli oggetti elencati si propende certamente per le seconde: decorazioni con uccelli, fiori e armi, anelli, quadri ricamati con figure e animali, tappeti da tavola. Gli inventari successivi a questo vedono diminuire progressivamente gli oggetti catalogati come turcheschi e l’aumento di quelli all’indiana.

L’intero articolo di Raffaella Morselli e, dunque, l’analisi dettagliata relativa al collezionismo, sono reperibili sul volume “Nuove Alleanze, Diritto ed Economia per la Cultura e l’Arte”, a cura di Arte e Critica e del DECA Master.