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L’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) recita testualmente che “Nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Prendendo le mosse proprio da questo articolo, il 4 novembre 2014, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, si è espressa sul caso Tarakhel v. Switzerland deliberando che il trasferimento del nucleo familiare verso l’Italia, disposto dalle autorità svizzere ai sensi del Regolamento di Dublino, avrebbe sollevato il pericolo di violazione proprio dell’articolo 3 della CEDU in assenza di garanzie da parte delle autorità italiane circa l’accoglienza idonea dei minori e la coesione del nucleo familiare.

In particolare, la sentenza interviene sul caso di un rifiuto delle autorità svizzere di esaminare la richiesta di asilo di una coppia afgana con sei figli e la successiva decisione di trasferimento in Italia, paese in cui la famiglia aveva fatto ingresso il 16 luglio 2011. La vicenda della famiglia Tarakhel, è solo un esempio dell’odissea che migliaia di famiglie, in fuga da guerre e conflitti, si trovano ad affrontare.

In questo caso però, a differenza di quanto avviene nell’esperienza quotidiana di migliaia di richiedenti asilo, è intervenuta la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che imprime a questa storia un corso diverso, dando un taglio alle sempre più complesse disposizioni burocratiche con cui i paesi dello spazio Schengen riammettono all’Italia, ai sensi del Regolamento di Dublino, chi in Italia non vuole rimanere.

Ed ecco, in breve, la storia. Dopo lunghe peregrinazioni dall’Afghanistan al Pakistan, dall’Iran alla Turchia, i coniugi Tarakhel e i loro figli raggiunsero via mare la Calabria, per venire poi assegnati al Cara di Bari. Poi la scelta di abbandonare il centro. La famiglia quindi parte alla volta dell’Austria da dove viene rispedita in Italia e poi ancora cerca fortuna in Svizzera, dove Tarakhel e la sua famiglia decidono di cominciare la loro nuova vita in Europa. Ma la libertà di scegliere dove far crescere i propri figli non è, a quanto pare, un diritto scontato. Così la famiglia di Tarakhel deve fare i conti con il Regolamento Dublino e con il rifiuto della Svizzera di esaminare la domanda di protezione disponendo il trasferimento della famiglia in l’Italia, paese di primo ingresso.

La Corte precisa che

“senza entrare nel dibattito circa l’esattezza dei dati disponibili, è sufficiente per la Corte notare l’evidente discrepanza tra il numero di richieste asilo presentate nel 2013, pari a 14.184 entro il 15 giugno 2013 secondo il Governo italiano, e il numero di posti disponibili nelle strutture appartenenti alla rete SPRAR (9.630 posti), dove – sempre secondo il governo italiano – sarebbero stati ospitati i richiedenti. Inoltre, dato che la cifra per il numero di domande si riferisce solo ai primi sei mesi del 2013, il dato per l’anno nel suo complesso è probabile sia notevolmente superiore, indebolendo ulteriormente la capacità di accoglienza del sistema SPRAR.”.

La CEDU insomma, con la sentenza, pur affrontando lo specifico caso della famiglia, sembra alludere alla necessità di non applicare meccanicamente e genericamente il Regolamento Dublino III, per procedere alle riammissioni solo dopo una ponderata analisi della situazione dei richiedenti, valutando nel dettaglio se nel paese di primo ingresso la protezione internazionale è garantita oltre al rilascio di un titolo di soggiorno.

Se questo paese è l’Italia, raccomanda la Corte, allora occorre che le autorità italiane forniscano informazioni circostanziate e convincenti circa il progetto di accoglienza e di inserimento in caso di rinvio nel paese. In assenza di tali elementi, la domanda di asilo è di competenza dello Stato in cui si trova a vivere il richiedente.

La stessa Commissione UE ha commentato la Sentenza annunciando che “valuterà attentamente i suoi contenuti e le sue possibili implicazioni per il funzionamento del sistema di asilo in Italia e nell’Unione europea. Tuttavia, spetta in primo luogo agli Stati membri trarre le conclusioni da questo giudizio, e, in particolare, valutare quali implicazioni essa dovrebbe avere per le decisioni che si possono adottare in merito ai «trasferimenti Dublino” in Italia, oltre che per il modo in cui tali trasferimenti vengono effettuati. La Commissione segue da vicino la situazione in materia di asilo in Italia, in particolare, dato il gran numero di arrivi via mare in Italia lo scorso anno, ed è in stretto e regolare contatto con le autorità italiane. Sono state adottate misure concrete per sostenere l’Italia nei suoi sforzi per migliorare la situazione sul terreno”.

In un interessante articolo, pubblicato sulla rivista Ordine Internazionale e Diritti Umani, il dott. Fabrizio Fois, dottorando in Scienze Giuridiche – indirizzo Diritto e Cultura – all’Università degli Studi di Sassari, analizza nel dettaglio la vicenda, soffermandosi sulle particolarità del sistema CEDU relativamente all’affermazione e applicazione del principio di non-refoulement (divieto di respingimento).

Per comprendere appieno la vicenda Tarakhel, nell’articolo si ricordano le precedenti pronunce relative ai sistemi d’asilo non solo in Italia, ma anche negli altri Paesi e, in particolare, i problemi connessi con le carenze dei sistemi degli Stati di frontiera, arrivando poi a una valutazione complessiva del sistema CEDU e del Sistema Dublino nell’applicazione del principio di non-refoulement.

L’articolo del dott. Fois, dal titolo “La Corte europea dei diritti dell’uomo sanziona i respingimenti verso gli Stati con sistemi d’asilo inefficienti: interesse della sentenza Tarakhel c. Svizzera ai fini di una valutazione sotto questo profilo del Sistema CEDU e del Sistema Dublino”, è scaricabile a questo link.