KH-StGallen-Darknet

“Può un robot o un software essere arrestato se commette un crimine?”. E’ la domanda che ci si è posti dopo la vicenda che ha visto la polizia di St. Gallen, cittadina svizzera, sequestrare gli oggetti esposti alla mostra “The Darknet – From Memes to Onionland. An Exploration”, allestita alla Kunst Halle Sankt Gallen (vicino a Zurigo).

A una prima lettura viene da chiedersi cosa mai possa aver spinto le forze dell’ordine al sequestro di oggetti in esposizione e quale possa essere stato il reato commesso da chi aveva allestito quella mostra. Per dare una risposta al quesito è necessario fare un passo indietro ed esporre i fatti esattamente come si sono verificati.

​A ottobre gli artisti Carmen Weisskopf e Domagoj Smoljo, del collettivo artistico !Mediengruppe Bitnik ​hanno dato a un software da loro creato 100 dollari alla settimana in bitcoins da spendere per acquistare oggetti a caso sulla rete. Questi stessi oggetti sono stati poi inviati alla Kunst Halle Sankt Gallen dove sono stati esposti come parte della mostra “The Darknet – From Memes to Onionland. An Exploration”.

L’installazione, aperta dal 18 ottobre 2014 allo scorso 11 gennaio, ​includeva una collezione di e-book de Il Signore degli Anelli, una cappello da baseball con una telecamera nascosta, un paio di jeans e, inoltre, 10 pasticche di ecstasy. Facile immaginare, dunque, che siano state proprio le pasticche ad aver attirato l’attenzione della polizia locale.

Il sequestro di oggetti acquistati da un software pone domande ben più ampie non solo rispetto alla libertà di espressione, in questo caso artistica, come rivendica il collettivo anglo-svizzero (“Siamo convinti che uno degli obiettivi dell’arte sia far luce su quello che accade ai margini della società e di porre domande fondamentali sulla contemporaneità” scrivono nel comunicato in cui annunciano il sequestro) ma anche da un punto di vista più strettamente giuridico:

Può un robot o un programma informatico essere incarcerato se commette un crimine? A chi si può attribuire legalmente la colpa se il codice con il quale un software è stato progettato è volutamente criminale? Cosa succede se un robot compra droga, armi o programmi hacker, li spedisce e la polizia intercetta il pacco?” si chiedeva il giornalista Mark Power sul The Guardian.

La risposta al momento non esiste, ma come spesso accade per i nuovi quesiti posti dalla rete, costituisce un precedente che non può cadere nel vuoto. Non sarebbe tuttavia la prima volta che Internet impone con urgenza la necessità di adeguare le normative vigenti. Basti pensare alle controversie sul diritto d’autore, alla cancellazione dei trattamenti personali che rimangono indelebili nella memoria della rete, o ai rimborsi milionari chiesti a Google per l’utilizzo abusivo delle informazioni giornalistiche.

Si potrebbe continuare a lungo, ma tutto rientra nel quesito generale: Internet può sfuggire ad ogni regolamentazione  in nome di una libertà incondizionata di espressione, oppure, come accade nella vita normale, deve rispondere anche legalmente dei propri comportamenti?

Quesiti al momento ancora irrisolti, ma che l’originale iniziativa di !Mediengruppe Bitnik ha sicuramente riproposto.