Il 15 ottobre 2014 è stato pubblicato il quarto numero della rivista telematica OIDU – Ordine Internazionale e Diritti Umani. Al suo interno sono presenti numerosi e interessanti articoli di esponenti di fama nazionale e internazionale del Diritto. Tra questi, il Prof. Paolo Fois, professore emerito di Diritto Internazionale dell’Università di Sassari e docente del DECA Master.
Nel suo intervento, dal titolo La tutela internazionale dell’identità culturale: diritti collettivi o obblighi degli Stati?, il professore parte dall’analisi di un’affermazione di Mazzeschi, docente di Diritto Internazionale all’Università di Siena e, dal settembre di quest’anno, membro del Bureau della Corte Osce, secondo cui “gli obblighi degli Stati in materia di diritti umani hanno la particolarità di dirigersi, come destinatari attivi, non solo agli Stati, non solo ad altri Stati, ma anche ad individui“.
Ma, analizzando il tema del “diritto all’identità culturale”, il Prof. Fois sostiene che l’aspetto del riconoscimento di diritti prevalga, da parte degli Stati, rispetto a quello della protezione dell’identità culturale.
Sviluppando il principio, già contenuto nell’art. 27 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948, che ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita della comunità, l’art. 27 del Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici del dicembre 1966 afferma che le persone appartenenti a minoranze etniche, religiose e linguistiche non possono essere private “del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo”.
La cultura da tutelare, dunque, non è tanto quella del singolo, spesso accostata esclusivamente all’educazione e all’istruzione, quanto la cultura del gruppo, della collettività. Va perciò sottolineato, continua il Professore, come nei “trattati sulle minoranze” conclusi all’epoca della Società delle Nazioni la finalità prevalente fosse di garantire la sopravvivenza della minoranza in quanto tale, attraverso l’assunzione, da parte di un certo numero di Stati, dell’obbligo di adottare “misure speciali di protezione”: contributi finanziari per l’insegnamento della lingua, facilitazioni per lo svolgimento di attività educative e religiose, previsione di forme speciali di autonomia per i gruppi minoritari.
E’ soltanto dopo la fine della seconda guerra mondiale che il diritto alla non discriminazione viene riconosciuto anche alle persone appartenenti a una minoranza, come chiaramente si evince a partire sia dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 2), sia dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (art. 14). Di fatto, però, nei confronti dei gruppi minoritari in quanto tali non venne prevista alcuna specifica tutela.
Il Prof. Fois conclude la sua analisi sottolineando la presenza di un’evidenza costante: per quanto riguarda sia la protezione delle minoranze, sia la tutela dell’identità culturale, al mancato riconoscimento di diritti collettivi si accompagna, di regola, la previsione di obblighi da parte degli Stati. In tema di identità culturale dei gruppi, comunque, gli atti internazionali contengono principi sicuramente più avanzati e stringenti di quelli che è dato ricostruire relativamente alla protezione delle minoranze. Resta da vedere se, e fino a che punto, i principi affermatisi in tema di identità culturale potranno realmente incidere sullo status delle minoranze, nei cui confronti le chiusure da parte della generalità degli Stati sono fin troppo evidenti.
Il documento integrale contenente l’articolo del Prof. Paolo Fois, è scaricabile cliccando qui.