Pubblichiamo oggi per il DECA blog un articolo scritto da Giuseppe Antonio Taras, che riepiloga i punti salienti del convegno “I beni culturali tra spiritualità ed economia”, organizzato dal DECA Master lo scorso 1 giugno 2011 a Tempio Pausania.
“L’arte non rappresenta il visibile, ma rende visibile l’Invisibile, si affaccia sugli abissi dell’essere e dell’esistere, varca i confini dell’evidenza immediata per penetrare nelle regioni dell’assoluto e della trascendenza”.
Parlava cosi Joan Miro, artista catalano tra i più famosi al mondo, tenendo ben presente che la creazione artistica, nella varietà dei suoi linguaggi e codici espressivi, rimanda sempre a una realtà “altra”, allegorica, altrimenti indescrivibile.
Per analizzare e sviluppare al meglio le innumerevoli suggestioni che l’arte, come veicolo di spiritualità, ma anche come strumento di sviluppo locale, porta con se, si e svolto a Tempio, lo scorso primo giugno, nella bellissima cornice del Palazzo Pes Villamarina, un importante momento di riflessione sul valore e sul ruolo dei beni culturali nella società odierna. Una scelta ovviamente non casuale quella di Tempio: sono infatti 194 le chiese di campagna presenti in Gallura, e fortissima è ̀anche l’attenzione per la lingua e per le tradizioni locali.
L’evento, organizzato dal professor Domenico D’Orsogna, direttore del DECA Master, e moderato dal Prof. Sandro Amorosino, (ordinario di diritto dell’economia, Università La Sapienza, Roma), ha cosi dato modo a Don Francesco Tamponi, attivissimo direttore dell’Ufficio Beni Culturali della diocesi di Tempio, ai Professori Eugenio Picozza (ordinario di diritto amministrativo, Università Tor Vergata, Roma), Tommaso Edoardo Frosini, (ordinario di diritto pubblico comparato, Università Sant’Orsola Benincasa Napoli), Gian Paolo Demuro, (ordinario di diritto penale, Università Sassari) e Laura Cappello, (docente di legislazione dei beni culturali, Università La Sapienza di Roma) di confrontarsi su un tema di grande interesse, ma altrettanto articolato e composito, alla cui definizione ciascun relatore, insieme agli interventi programmati del dottor Salvatore Casu e del dottor Fabrizio Mureddu, ha contribuito fornendo un valido tassello.
Un affresco corale dunque quello emerso dal convegno, dove la policromia, l’accostamento di diverse professionalità e sensibilità ha concorso, come in un mosaico, al risultato finale: l’elaborazione di importanti spunti di riflessione, per cercare di ricondurre ad unita logico- concettuale la grande trasversalità e multidimensionalità del tema.
Tenendo presente questa finalità operativa, per prima cosa, i relatori, attraverso le parole di Don Tamponi, si sono soffermati sulla definizione di “bene culturale”, ripercorrendo le varie tappe normative (Convenzione dell’Aja 1954; Dl. n. 657 del 14 dicembre 1974, e la sua legge di conversione n. 5 del 29 gennaio 1975; Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive integrazioni) che hanno portato alla costruzione teorica del concetto e analizzando, con un approccio dinamico, le maggiori problematiche giuridiche riguardanti la tutela, la valorizzazione, la circolazione e gestione dei beni e delle attività culturali.
In Italia, infatti, tutela e valorizzazione spettano, nell’ordine, rispettivamente a Stato e Regioni. A introdurre la biforcazione è stato l’art.117 della Costituzione, analizzato insieme all’articolo 9 della Costituzione dal professor Frosini, in cui sono stati cristallizzati come principi fondamentali la promozione culturale, scientifica e tecnica e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione.
E proprio sulla promozione culturale del territorio – idea cardine del DECA Master – ha incentrato il suo intervento il professor D’Orsogna, citando il pensiero di Amartya Sen, il Premio Nobel indiano per l’economia, tra i primi a parlare dei nessi tra cultura, partecipazione sociale, sviluppo umano ed economia. L’identità culturale come veicolo di crescita, dunque. Per raggiungere questo obiettivo sarà necessario attivare un grande sforzo sinergico – osserva D’Orsogna – che coinvolga pro-attivamente comuni, province, regioni e i vari attori sociali.
E la Sardegna, da questo punto di vista, è ricca di esempi virtuosi – basti pensare alla promozione e valorizzazione della cultura e della lingua sarda (Legge Regionale 26/97) e alla tutela dei centri storici, da lui definiti come: “opere in movimento, tessuti vitali, in cui la vita si innerva e in cui la vita deve continuare a svolgersi” – anche se tanto, ovviamente, rimane da fare.
Della cultura come strumento di coesione e sviluppo ha parlato anche il professor Picozza, intendendola come valore fondante dell’Unione Europea, come amalgama, sostrato che unisce, anche nella diversità, le collettività. Sempre sulla fruizione dei beni culturali da parte della collettività e sul concetto di “bene funzionalizzato” si è soffermata anche la professoressa Cappello, che ha iniziato il suo intervento partendo dalla suggestiva immagine di una chiesa campestre, per testimoniare ulteriormente il rapporto non solo tra arte e spiritualità ma anche tra arte e territorio. La docente ha poi proseguito il suo intervento con l’analisi esegetica dell’articolo 10 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
Ad affrontare invece il tema dei beni culturali dalla prospettiva penalistica è stato il professor Demuro che, partendo dalla figura emblematica e a tutti nota del “ladro di opere d’arte”, ha delineato la cornice normativa approntata dal codice penale italiano, focalizzando l’attenzione sul fenomeno delinquenziale, sulle varie tipologie di “aggressione” ai beni culturali (tra le tante: traffico illecito di opere d’arte e scavi clandestini) e sull’importanza della catalogazione del patrimonio storico-artistico presente in Italia.
A concludere i lavori è stato infine, il professor Amorosino che, mettendo in luce il rapporto tra beni culturali e mercato nella “società del consumo”, ha ricordato ai presenti quanto sia importante trasmettere l’amore per la cultura alle nuove generazioni, al fine di evitare anche in questo campo, il terribile fenomeno dell'”usa e getta”.
Fruire infatti non significa distruggere ma conservare. E un ruolo decisivo – in questo senso – lo giocheranno le Università, luoghi da sempre deputati alla trasmissione del sapere e alla formazione della società civile: perché non potrà mai esserci conservazione, senza memoria e senza conoscenza.